AD ISOLA DEL LIRI SI CONFRONTANO DUE CONTRAPPOSTE POSIZIONI IN MERITO AI SITI INDUSTRIALI DISMESSI: LA CONTEMPLAZIONE DEL “RUDERE” E LA RICONVERSIONE PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO.
Ad Isola del Liri, “Patria” dell’Archeologia industriale, si fronteggiano due posizioni ben definite in merito ai siti industriali dismessi e disseminati all’interno dell’esiguo territorio comunale.
In questo momento storico, è dominante quella di chi ha subito il trauma paralizzante del lento ma graduale processo di deindustrializzazione ed ha cancellato dalla memoria le fabbriche chiuse per sempre, attraverso un profondo processo di rimozione individuale e collettivo. Cosicché, tutti i siti in argomento sono stati dimenticati, (alcuni come la Cartiera Lefebvre per circa un secolo; altri per alcuni decenni) e abbandonati al degrado e all’incuria.
Sicché importanti fabbriche, racchiuse entro alte e antiestetiche mura, e che tuttora occupano rilevanti parti del territorio comunale, sono scomparse anche alla vista dei cittadini. Di questa sindrome hanno sofferto per lo più coloro che non hanno conosciuto il lavoro di fabbrica, giacché i loro padri con immani sacrifici li hanno avviati allo studio per dare loro un futuro migliore.
La conseguente mentalità borghese li ha spinti a idealizzare i “ruderi del passato” escludendo a priori il fatto che la riconversione di quei siti potesse essere, come avviene in tutta Europa, il “motore” di un nuovo modello di sviluppo. Lo dimostra il fatto che quando il Lanificio S. Francesco, ubicato in pieno centro storico, dopo un abbandono durato alcuni decenni, fu ristrutturato da un privato e trasformato in AUDITORIUM NEW ORLEANS, in omaggio alla città americana gemellata con Isola del Liri, si affrettarono a denominarlo LA FABBRICA appena riconquistato il governo cittadino.
Soltanto così si spiega il disinteresse nel continuare ed ultimare i lavori di riconversione avviati dall’altra posizione sostenuta da chi non si è rassegnato all’idea di contemplare i “ruderi” di un glorioso passato ma si è attivato per la realizzazione di un “progetto globale” la cui bontà è stata dimostrata dalle giornate del FAI che hanno consentito a migliaia di visitatori di ammirare i “gioielli” della nostra archeologia industriale.
L’Archeologia Industriale, dottrina nata intorno agli anni '50 nel mondo anglosassone, studia l'epoca della rivoluzione industriale con gli edifici, le tecnologie, le infrastrutture e le conseguenze
economiche e sociali che ne derivano. Ed essendo la macchina la prima "causa, l'origine (arch', appunto), della rivoluzione industriale, diventa archeologia industriale tutto ciò che nel nostro passato, recente o lontano, ha contribuito a portarci alla
civiltà delle macchine".
Si definisce in tal modo una dottrina ed un procedimento interdisciplinare che nella valutazione e nello studio della rivoluzione industriale comprende l'apporto che ad essa è stato dato oltre che dalla scienza
e dalla tecnica, dal lavoro, dal capitale e dalle strutture socio-politiche.
Secondo stime attendibili ogni anno in Italia vengono smantellati mediamente 150 mila metri cubi di vecchi edifici industriali e vengono "rottamate" circa 300 mila tonnellate
di macchinari ed attrezzature, mentre gli archivi ed i disegni vengono generalmente distrutti entro i cinque anni previsti dalla legge, quasi sempre senza effettuare neppure una cernita delle cose più interessanti.
Naturalmente è
inevitabile che la maggior parte di questi edifici e carte e macchinari obsoleti venga distrutta, considerando che è la Fisiologia" stessa dello sviluppo industriale a renderlo necessario. C'è però una percentuale di tutto questo che va
considerata come "bene culturale", secondo la concezione introdotta in anni recenti anche da noi, e appunto come tale studiata, conservata e valorizzata. Va sottolineato che il concetto dì bene culturale attribuito anche a quelli industriali è
di grande rilevanza per un Paese come il nostro dove la "querelle" tra scienze umanistiche e scienze tecniche e l'antinomia tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica è stata faticosamente superata solo di recente.
Tuttavia si
comincia a comprendere che la cultura industriale è la cultura del mondo di oggi e che la fabbrica è un contenitore di scienza, di tecnologia, di capacità imprenditoriale, di fatica, di dolore di umanità che in un immenso sforzo
vitale macina e trasforma la vita e la società dell’uomo. Sono sorte quindi associazioni che si occupano della conservazione e della valorizzazione dei manufatti industriali dismessi, e la più famosa è senz’altro la T.I.C.C.I.H.
acronimo di Comitato Internazionale per la conservazione dell’Eredità industriale fondata nel 1978 che raccoglie rappresentanti di ben 30 paesi.
Le presenze di archeologia industriale nel territorio sono rilevanti in quanto rappresentano
insostituibili testimonianze materiali del modo di produrre e di lavorare di una determinata epoca. Esse possono restituirci con grande evidenza le forme di organizzazione tecnologica e le corrispondenti forme di vita lavorativa e sociale che gravitavano attorno
ai centri di produzione.
E' importante recuperare e valorizzare ciò che resta: non solo edifici, ma anche macchine, strumenti, immagini, stile di vita di questi periodi, creando od arricchendo il trascurato filone dei musei demoantropologici
e scientifici. Così come è avvenuto, ad esempio, per gli oggetti salvati nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, per quelli esposti nel Museo ENEL dell'Energia elettrica di Roma, o per quelli del Museo delle Poste di Roma, e per altri
e altri ancora. Sono oggetti che rendono affascinante la visita a questi Musei. Di fatto lo sviluppo di insediamenti industriali ha improntato di sè quartieri, zone centrali o periferiche della città. Il quartiere Ostiense a Roma ne è
una testimonianza lampante. Anche oggi è possibile distinguere chiaramente varie aree industriali, a cui fa da contraltare la zona residenziale della Garbatella. Alcune di queste aree, come la Centrale Montemartini, sono state recuperate. Altre, come
il Mattatoio, aspettano.
Ricordiamo che altre città, come Parigi, che pure non può essere citata come il massimo esempio in fatto di recuperi storici, hanno saputo operare alcuni brillanti interventi divenuti ormai famosi. In particolare,
a Parigi si sono convertite aree centrali dismesse come la Gare d'Orsay, o aree periferiche come l'ex mattatoio La Villette, in formidabili investimenti culturali, un museo d'arte contemporanea e un museo della scienza, dando così un forte impulso al
prestigio, al turismo ed all’economia.
Le aree industriali, in particolare quelle dismesse, rivestono una notevole importanza urbanistica per una città. Per menzionare solo alcune grandi città, a Milano risultano aree dismesse
per 9,5 milioni di mq, a Torino 2,7 milioni, a Genova 3,9 milioni, 1 milione a Venezia, 6,2 milioni a Roma (sufficienti ad ospitare metà della Roma che vive entro le Mura Aureliane). Sono praticamente un serbatoio urbanistico in attesa di destinazione.
Che può consentire di colmare lacune o migliorare le esistenti strutture cittadine.
E' importante che in queste decisioni possano confluire le migliori riflessioni sulle necessità presenti e future e sul migliore destino delle città.
Si deve evitare che a decidere sia la fretta, l’incuria o l'affarismo, magari favorito da occasioni estemporanee quali: Mondiali, Olimpiadi il Giubileo. Catalogare il patrimonio esistente non basta, ma è una prima misura di protezione. Il problema
di recupero non è di facile soluzione. Ma neanche la prospettiva di perdere queste aree è confortante. Ad esempio, in Lombardia, sulla base di un censimento regionale di circa 550 complessi, si è potuto accertare che il 50% era ancora
utilizzato con le originarie finalità produttive, mentre il 30% era stato ristrutturato a nuovi scopi e il 20% era rimasto abbandonato o in via di demolizione. Questo esempio fornisce una prima stima delle quote che si sono perse in passato o che rischiano
di andare perse oggi in assenza di interventi. Si tratta infatti di beni non tutelati dalla normativa in vigore, per lo più di proprietà privata, spesso minacciati da interessi economici e speculativi, con rischio di una rapida sparizione.
In questa ottica di salvaguardia si è mossa dal 1995 l’Amministrazione Comunale di Isola del Liri che grazie al sapiente utilizzo dei fondi comunitari dell’Obiettivo 2 ha intrapreso un gigantesco sforzo di riconversione di tutte
le strutture industriali dismesse che insistevano sul territorio, ponendosi come fine ultimo la trasformazione di Isola del Liri da centro industriale a polo turistico-tecnologico.
In questa ottica confluisce, poi, tutto il grande progetto del
Parco Fluviale Tecnologico che costituirà con le sue moderne realizzazioni la sfida isolana al nuovo millennio. A tale proposito è opportuno ricordare come nasce e come si evolve questa progettualità legata al parco dando anche un piccolo
sguardo al background storico-economico di Isola del Liri.
Dal '600 fino ad oggi, la connotazione industriale ha rappresentato l'elemento fondamentale e ordinatore della "Forma urbis" di Isola del Liri, quale modello di sviluppo insediativo tipico
delle regioni industrializzate d'Europa. Inizialmente, per la lungimiranza dei Boncompagni; nell'800, per l'imprenditoria dei francesi Beranger, Lefebvre, Courrier, Coste, Boimond, Roessinger e dei Borboni, che favorirono la trasformazione dell'antica "Insula
filiorum Petri" nella moderna "Manchester del Regno di Napoli".
Ben presto nacque la nuova tipologia edilizia della fabbrica-villa, da cui l'appellativo di città-fabbrica: il disegno ottocentesco di Isola del Liri, si può oggi rileggere
nelle residenze padronali ed operaie, ancora presenti come segni forti del territorio e nella architettura dell'enorme patrimonio di archeologia industriale, il cui riuso è alla base dei lavori di ristrutturazione in corso, finanziati con i fondi strutturali
dell' Unione Europea, per la riconversione globale dell'antica città-fabbrica in Città-Parco Fluviale e Tecnologico, con la significativa denominazione di Centro Europeo della Civiltà della Carta e delle Telecomunicazioni.
Per diversi secoli, la vita cittadina è stata scandita dalla organizzazione del lavoro in fabbrica; intere generazioni di Isolani, infatti, hanno adattato il loro ritmo biologico a quello delle produzioni cartarie e tessili che davano prosperità
e ricchezza al paese, tanto che l'Isolano e l'operaio, nel corso di questo lungo arco temporale, si sono identificati in una sola categoria sociologica.
Il processo di marginalizzazione, conseguente ai nuovi disorganici assetti territoriali, e
la deindustrializzazione hanno determinato profonde lacerazioni nel tessuto sociale ed economico della città e la urgente necessità di ricercare, alle soglie del terzo millennio, un nuovo e moderno ruolo ad una città piena di storia e
di laboriose tradizioni.
Isola dei Liri, già nota per la forma peculiare del suo nucleo abitato più antico, che assume le sembianze di vera e propria isola lambita da due bracci del fiume Liri che formano le uniche Cascate al mondo
all'interno di un centro storico, vuole rappresentare una realtà del tutto nuova, dove le spoglie del passato possano rivivere nel presente attraverso una rilevante operazione di riqualificazione urbana (caso unico in Italia), per la trasformazione
della città in un qualificato centro di servizi culturali, commerciali, turistici e telematici, come funzioni differenziate nel contesto di un "progetto globale" che incentivino la PMI, in cammino verso l'Europa.
L'Unione Europea e la Regione
Lazio, il CIPE e il Ministero del Lavori Pubblici, cofinanziatori con il Comune di Isola del Liri dell'unico progetto di riconversione di una città in corso di realizzazione in Italia, hanno finora approvato tutti i progetti relativi alla ristrutturazione
ed al riuso dei più importanti siti industriali: Cartiera Emilio Boimond, Feltrificio Pisani e Cartiera Fibreno-Lefebvre . Nel contempo, sono in corso ad opera dei privati le ristrutturazioni del Lanificio S.Francesco (oggi Auditoriuni New Orleans),
delle Cartiere Meridionali e del Lanificio Pelagalli, a riprova della credibilità che ha assunto il "progetto globale" di riconversione.
Nasce, così, dalle ceneri delle industrie la nuova Isola!
Cultura, turismo, spettacolo,
alta tecnologia, informatica, telematica, telecomunicazioni, acquario, PMI, tradizioni antiche che si coniugano con un rilevante processo di modernizzazione all'interno di un grande PARCO FLUVIALE E TECNOLOGICO, che si snoda lungo tre itinerari dal Centro
storico fino ai confini con Sora, collegando tutti gli interventi in corso in modo coerente e globale.
In questa ottica si inserì la volontà dell' Amministrazione comunale di Isola del Liri, guidata dal senatore Bruno Magliocchetti
dal 1993 al 1999, di aderire al Centro Internazionale Città d’Acqua, associazione senza fini di lucro costituitasi a Venezia nel 1989 per svolgere attività di documentazione, informazione, studio e ricerca sui problemi e sulle esperienze
di quegli insediamenti urbani fortemente caratterizzati dal rapporto con l’acqua.
Obiettivo principale è quello di favorire e migliorare gli scambi scientifici e culturali tra le diverse città d’acqua, in ogni parte
del mondo creando a Venezia, simbolo universale di questa città, un punto di riferimento per tutti coloro che operano per ripristinare una positiva relazione tra città d’acqua e ambiente urbano. Pur nella diversità delle situazioni
rappresentate dalle singole città è possibile ritenere che lo scambio di informazioni ed esperienze condotte nelle differenti realtà urbane può essere di grande utilità nell’affrontare e risolvere i problemi che caratterizzano
questi insediamenti.
Il Centro Internazionale Città d’Acqua ha come promotori:
Il Comune di Venezia
L’Università degli Studi di Venezia (Cà Foscari)
L’Istituto Universitario di Architettura di
Venezia (IUAV)
Il Consorzio Venezia Nuova
Inoltre esso ha una propria rivista bimestrale di informazione e studi "Aquapolis" redatta in italiano ed inglese.
La coincidenza fra i fini del Centro e la programmazione attuata grazie ai
fondi comunitari e statali dal Comune di Isola del Liri appare straordinariamente coincidente.
'Il tema del recupero e del riuso dell'archeologia industriale deve diventare sempre più un fattore essenziale e strategico nella definizione delle
politiche urbane di riqualificazione e sviluppo delle zone industriali e portuali, obsolete o abbandonate." Con questa affermazione è stato aperto il documento approvato dai partecipanti a conclusione dei V Incontro Internazionale del Centro Città
d'Acqua, 'L’Acqua dell'Archeologia Industriale", tenutosi a Venezia il 27 - 28 marzo 1998.
Gli interventi, si ribadisce nel documento, consentiranno la riappropriazione da parte della città di zone in passato emarginate e inaccessibili;
il reintegro, nell'assetto della struttura urbana, di edifici o sistemi di attrezzature di grande valore storico-architettonico; l'incremento dei livelli occupazionali e l'arricchimento del tessuto socio economico di importanti parti di città.
In questo quadro, si sottolinea inoltre, il valore e le potenzialità di riutilizzo di tali spazi e strutture viene incrementato dalla presenza dell'acqua, le diverse forme che essa assume. Gli interventi di riuso dovranno tenere presente la necessità
di reinterpretare e definire un nuovo e organico rapporto tra la città e le aree recuperate, il rispetto per gli episodi di architettura industriale che deve tradursi in calibrate operazioni di recupero, specialmente per ciò che riguarda l'equilibrio
di linguaggi (di vecchio e nuovo), dovranno inoltre dedicare attenzione alla scelta delle funzioni ad esse destinate consentendo una pluralità di usi che comprendano il mantenimento di attività produttive e la stessa funzione residenziale; sviluppare
tutte le forme della collaborazione tra il settore pubblico e quello privato, demandando a quest'ultimo i compiti legati alla gestione delle strutture rinnovate.
L’acqua diventa quindi alla luce di questa nuova visione il perno ideale e
concreto della proposta di rivitalizzazione di spazi ed edifici abbandonati, certo è un acqua che ha perso gran parte delle sue doti naturali poiché essa è stata piegata in maniera spesso violenta ai bisogni dei processi produttivi e così
spesso la ritroviamo trasformata, apparendo artificiale e degradata, quasi fosse stato spento o comunque compromesso quel carattere di "liquida vitalità" percepibile allo stato di natura. Recuperare questa Archeologia Industriale vuole dire innanzitutto
recuperare il valore della presenza dell’acqua, per se stessa ed in rapporto al contesto edificato, per assegnarle un ruolo di essenziale ingrediente di una proposta di riqualificazione, convincente e duratura, di importanti testimonianze del patrimonio
di Archeologia Industriale.
Il Centro Internazionale Città d’acqua in collaborazione con Eurocultures, osservatorio europeo per lo sviluppo socio-culturale della città, e i paesi dell'Unione Europea coinvolti nel programma
'Itinerari Culturali' del Consiglio d'Europa, ha promosso la creazione della RETE EUROPEA PER L'ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE.
Questo progetto per il quale è stato chiesto un finanziamento alla Comunità Europea, consiste nella realizzazione
di una rete tra soggetti coinvolti nel recupero e la gestione di manufatti che rappresentano per le città un significativo elemento di rivitalizzazione economico culturale.
I partner sono: Assessorato all'Urbanistica, Comune di Venezia
(Italia); Ispettorato nazionale per il Patrimonio, Tallin (Estonia); Agence d'Urbanisme, Dunkerque (Francia); Dipartimento per la Cultura e la Ricerca, Lubiana (Slovenia); Ispettorato Municipale per la Salvaguardia del Patrimonio architettonico e culturale,
S.Pietroburgo (Russia); Università Chalmers, Góteborg (Svezia); Istituto Tecnico Superiore, Lisbona (Portogallo); Istituto di Architettura "Ion Míncu", Bucarest (Romania); Associazione degli Architetti, Regione Centro-Coimbra (Portogallo);
"Wohnen und Stadtentwicklung", Vìenna (Austria); Accademia di Belle Arti, Berlino (Germania); Museo della Scienza e della Tecnica della Catalogna, Barcellona (Spagna); Associazione "Cité et Solidarité" Eurocultures, Bruxelles (Belgio);
Solidarnosc/Relazioni internazionali, Gdansk (Polonia); Associazione "Pro Friburgo", Friburgo in Argovia (Svizzera).
Le opportunità quindi che potranno scaturire da questa adesione sono molteplici e foriere di sviluppi futuri, nell’immediato
il Centro potrà fornire alla nostra città consulenze organizzative e progettuali e soprattutto fornire il suo enorme know-how. La possibilità di organizzare convegni sponsorizzati dal centro costituirà poi per lo sviluppo della
vocazione turistica di Isola del Liri un potente veicolo pubblicitario.
"Agire nella realtà locale, pensando in modo globale" vuole essere la filosofia dell'lsola del 2000, nella consapevolezza che nell'epoca delle nuove tecnologie di comunicazione
si coniugano due dimensioni fino a poco tempo fa alternative, quella globale e quella locale, lsola del Liri, insomma, sviluppa concretamente un dato originale del nostro tempo, un dato espresso dal neologismo "glocal", ossia globalizzazione e localismo.
La Prima Conferenza Urbanistica del Lazio Meridionale, la continua ricerca della identità e della memoria storica locale, la riconversione in corso da antica Città-Fabbrica in Città-Parco Fluviale e Tecnologico, la notevole attività
culturale, i rapporti internazionali con New Orleans, con Hong Hong, con Toronto, l'adesione al Centro Internazionale Città d'acqua, unitamente alla realizzazione di un Centro Servizi per le Telecomunicazioni vogliono determinare in realtà un
rapporto corretto tra globalizzazione e localismo.
In conclusione, scrive Ernesto Assante, nel "villaggio globale", "la "madre di tutte le reti" (internet) non ha frontiere, non conosce confini, i suoi dati viaggiano tra un paese e l'altro senza
attraversare dogane, senza che nessuno riesca, o possa, impedirne il movimento. La rete non ha un luogo, è il mondo stesso, con tutte le sue diverse culture, le sue diverse lingue, con le identità di ognuno e le diversità di tutti.
Nessuno è uguale all'altro, per tutti esiste uno spazio, una piccola pagina del Web che può contenere storie, culture, progetti" come antidoto, aggiungo io, al pensiero unico che avanza e minaccia di diventare il totalitarismo del 2000.
E' motivo di orgoglio per tutti gli lsolani partecipare a questo grande progetto ed è motivo di immensa soddisfazione per tutta l'Amministrazione comunale interpretare con fede e con realismo le attese e le speranze della Città delle
Cascate, che in così poco tempo ha saputo assumere un ruolo importante degno della sua storia e della sua tradizione.
Ultimi commenti
11.09 | 09:59
Sembrano disinteressati ma se sollecitati e soprattutto responsabilizzati danno il meglio di loro
11.09 | 09:58
Caro senatore, oggi individuare ‘giovani di centrodestra’ è difficile! I ragazzi sono figli del loro tempo (questo) e non piace loro essere classificati o incasellati! Secondo me vanno solo stimolati
11.09 | 09:12
Caro Maurizio, senza la partecipazione dei giovani, specie quelli di centrodestra, la mia proposta rischia di diventare un "discorso ai sordi".
10.09 | 08:37
Finalità condivisibili! Occorre l’impegno di molti e sicuramente vanno coinvolti i giovani intorno a progetto di più ampio respiro e ambizioso!