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RITROVAMENTO DELL'ANTICA CARTIERA LEFEBVRE
Il 5 marzo 1995, due operai dell’ANAS si presentarono nel mio ufficio al Comune per riferirmi che sulla SS. 82 all’altezza dell’antica Cartiere Lefebvre si era aperta una voragine attraverso la quale s’intravedeva un lungo cunicolo. Nel passato avevo sentito parlare di un vecchio opificio sotterraneo, perciò senza indugiare mi feci accompagnare dal Comandante della Polizia Municipale, Bruno Palombo, e dal Capo dell’ufficio tecnico, geom. Fernando Viscogliosi, per ispezionare il sito. Attraversato il cunicolo, mi si presentò uno spettacolo favoloso. Ebbi subito una felice intuizione: quel sito poteva essere acquistato dal Comune, e, opportunamente bonificato, poteva diventare il più suggestivo MUSEO DELLA CARTA D’ITALIA, anche perché all’antico rudere fa da cornice una bella cascata, la terza di Isola del Liri, e un rigoglioso parco fluviale.
Detto e fatto! Superati i preliminari, venuto a conoscenza del Documento programmatico della Regione Lazio, pubblicato sul BURL n. 19 del 10 luglio 1995, che nella misura 1.3 dell’obiettivo 2, ammetteva a finanziamento a valere sui fondi strutturali europei “la sistemazione dei siti degradati e manufatti dismessi”, il Consiglio comunale con deliberazione n. 74 del 7 ottobre 1996, dichiarata immediatamente esecutiva, approvò il progetto preliminare generale relativo al “MUSEO DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE CENTRO EUROPEO DELLA CIVILTA’ DELLA CARTA..
Per la bonifica del sito il Comune di Isola del Liri ottenne un finanziamento di lire 3.743.500.000 (80% a fondo perduto) e per la ristrutturazione un finanziamento di 3.500.000.000 (80% a fondo perduto).
A lavori quasi completati, mancavano soltanto gli infissi e qualche particolare di minore importanza, cadde la mia amministrazione.
L’amministrazione di sinistra che subentrò alla mia rinunciò agli ultimi finanziamenti e, colpevolmente, abbandonò l’antica Cartiera Lefebvre – Museo della carta all’incuria e all’azione devastante dei vandali, riportando l’antico opificio allo stato di “rudere”.
La mancata continuità amministrativa e la deliberata rinuncia agli ultimi finanziamenti per realizzare il più grande e suggestivo MUSEO DELLA CARTA D’ITALIA configura un grave danno erariale.
Sen. Bruno Magliocchetti, Sindaco di Isola del Liri dal 1993 al 1999
BREVE STORIA DELL'ANTICA CARTIERA LEFEBVRE.
Quando intorno al 1815, un anonimo dipingeva l'olio su tela intitolato Isola di Sora l'ampliamento della cartiera che Carlo Beranger aveva impiantato dopo il 6 luglio 1812 nel soppresso convento dei Carmelitani di S. Maria delle Forme nell'Isola di Sora, non era ancora intervenuto.
La manifattura di carta di grandi dimensioni che il Beranger avava potuto installare a seguito del Decreto Governativo che porta quella data, infatti, era ancora interamente localizzata nell'ex convento e sul "terreno murato" annesso. Scaduta la concessione governativa, prevista nel decreto, il Beranger provvede all'acquisto del Convento che nel frattempo era stato adibito a cartiera anche grazie ai prestiti concessi dall'allora Ministero degli interni.
L'impianto viene installato rapidamente da maestranze specializzate giunte dall'Inghilterra e dall'Olanda; dal 1813 entra in piena attività e comincia a produrre ingenti quantità di carta sfruttando la forza motrice delle copiose acque del Fibreno.
Fino al 1817, anno in cui fallisce la possibilità di ottenere dalla Casa Reale il titolo di "Fabbrica regia" vi lavorano oltre 150 operai. Lo stesso anno, pare a seguito di questo fallimento, Beranger costituisce una società con altri oriundi francesi tra cui Carlo Lefebvre di Pontarlier il quale sei anni più tardi, morto il fondatore, rileva la società e in breve tempo la trasforma nell'industria cartaria più importante d'Italia.
Ancora nel 1817 né il fabbricato di "soffondo" né la cappella di S.Maria delle Forme pare fossero stati realizzati; diversamente, forse l'anno seguente, era stato ultimato il tunnel scavato nella roccia sotto la strada che dava modo al Lefebvre di derivare l'acqua per movimentare le "macchine" localizzate nell'ampliamento successivo collocato nell'area prospiciente la TERZA CASCATA al di sotto della quota stradale.
E' del 1818, infatti, il canale delle Forme che il tipografo francese fa costruire rimodellando l'idraulica dei canali d'irrigazione peesistenti fra cui l'emissario del lago di Tremoletto. Lungo ben 2 km. doveva alimentare anche il nuovo edificio di "SOFFONDO" che, diversamente, forse era stato almeno in parte realizzato prima del 1837, anno in cui il Carelli figlio ritrae la cappella di S.Maria delle Forme e il suo immediato intorno, fortemente naturalizzato.
Un edificio di dimensioni piuttosto consistenti, unica propaggine della cartiera al di fuori del "terreno murato" annesso al Convento che, per la presenza delle vasche olandesi, pare fosse destinato alla produzione della "pasta legno" almeno fino al 1913.
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta del XX secolo dell'ampliamento della cartiera - come pure di altri edifici industriali dismessi della città di Isola del Liri - viene avviato un intervento finalizzato al riuso, in gran parte attuato con fondi comunitari e comunali, destinato alle aree del territorio nazionale definite a declino industriale.
All'interno di questo contesto operativo l'amministrazione comunale decide di destinare l'ampliamento dell'ex cartiera Lefebvre a MUSEO DELLA CIVILTA' DELLA CARTA E DELLE TELECOMUNICAZIONI.
L'intenzione si trasforma in progetto, frutto della capacità immaginativa dello studio MCM (Morganti, Cautilli, Morganti) a partire dalla messa in luce dell'antico opificio completamente occultato dalla lussureggiante vegetazione, cresciuta ovunque a causa delle condizioni ambientali particolarmente favorevoli dovute innanzitutto alla presenza della TERZA CASCATA cittadina, certamente sfruttata nel passato per fornire energia all'opificio.
Dalla vista del rudere, dalla presenza della cascata e del ponte di ferro che consentiva di trasferire su rotaie le materie prime dalla vicina stazione alle Cartiere Meridionali poco distanti, nasce l'idea di un edificio nuovo, interamente ricavato all'interno di quello antico, che conserva le tracce del proceso di ruderizzazione ed è sovrastato da un grande intruso: una lunga passerella pedonale in acciaio che, integrata con gli spazi di verde attrezzato tutt'intorno, consente di accedere al museo e di affacciarsi - da un punto di vista assolutamente unico - sulla TERZA CASCATA cittadina.
Nel riconoscimento dell'esistente gioca dunque un ruolo primario il dato ambientale che caratterizza il sito la cui forte valenza suggerisce nuove modalità di fruizione dello spazio esterno e degli spazi museali a tutt'oggi non ancora ultimati. Dall'alto, infatti, ci si appresta all'edificio percorrendo la nuova passerella in acciaio concepita come una reinterpretazione moderna del vicino ponte in ferro, dall'alto se ne può godere la vista d'insieme, dall'alto ci si immerge nelle spazialità dell'antico "SOFFONDO" dopo essersi lasciato affascinare dai suoni della vicina cascata.
E come l'acqua si muove dall'alto verso il basso anche i visitatori, linfa vitale del novello museo, attraverseranno i suoi spazi seguendo un percorso anch'esso orientato dall'alto verso il basso, metafora del moto da cui in passato le macchine per la produzione della pasta legno traevano energia.
Da una parte, quindi, il tentativo di proporre una razionale integrazione tra architettura e natura declina a più livelli e la forte distinzione tra la scatola muraria antica e l'involucro moderno, dall'altra l'esibizione della natura tecnica dei sistemi resistenti dei nuovi inserti - passerelle, coperture, lucernari, ecc. - consentono di sviluppare un progetto di riuso congruente con la riconosciuta disponibilità alla trasformazione della peesistenza.
Un progetto tutt'altro che mimetico in cui l'impiego diffuso della tecnica della sospensioe diretta applicata all'interno anche per i connettivi principali, mette in luce una modalità d'intervento che aspira a minimizzare le interferenze tra antico e nuovo. Certamente ispirata agli interventi di Guido Canali e di Andrea Bruno, è il risultato di un impegno professionale che pur rinviando alla più nota e apprezzata tradizione italiana del recupero fa proprie le istanze provenienti da esperinze sviluppate oltre i confini nazionalI.
IL PROGETTO DI RECUPERO DELL'ANTICA CARTIERA LEFEBVRE E DEL MUSEO DELLA CIVILTA' DELLA CARTA E DELLE TELECOMUNICAZIONI.
Per una città come Isola del liri, ancora oggi, la "dimensione liquida" ha una valenza importante. La presenza coiposa di acqua ne ha fatto nei secoli una vera e propria città-fabbrica. Vi si sono insediate industrie - innanzitutto cartiere - che l'hanno resa famosa nel mondo. Benché la città abbia fondato per secoli il suo sviluppo intorno alla produzione della carta e della lana, ormai da qualche decennio cerca una nuova identità economica affidandola anche ad attività diverse.
E' proprio dal riconoscimento del suo declino industriale e da quello di altre realtà del lazio merdionale che, nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, si avviano una serie di interventi finalizzati al recupero del suo vastissimo patrimonio industriale dismesso per lo più insediato lungo il corso del fiume Liri e dei suoi affluenti, finanziati dall'Unione Europea, dalla Regione Lazio e dall'Amministrazione comunale.
L'attenzione ricade anche sul più recente ampliamento della cartiera del Fibreno poi Lefebvre, insediato nel cosiddetto "SOFFONDO", in prossimità della TERZA CASCATA cittadina. Un sito particolarissimo la cui forte antropizzazione si appalesa come discreta agli occhi del visitatore distratto sedotto alla vista dell'unica presenza che emerge alla quota della strada: la piccola cappella di S. Maria delle Forme.
E' proprio da una attenta riflessione sui caratteri particolarissimi, forse unici, dell'edificio e del suo contesto ambientale che nasce l'idea fondativa del progetto di recupero: valorizzare la vista della cascata in omaggio a quell'elemento naturale - l'acqua - che sapientemente sfruttata ha determinato per secoli la storia della città.
Un'idea dalle condizioni specifiche e coerentemente sviluppata a partire dal ritrovamento dell'opificio in rovina e dei suoi macchinari che, assediati dalla lussereggiante vegetazione, erno stati da questa completamente sopraffatti fino a scomparire definitivamente per decenni sotto la spessa coltre verde.
Il progetto sviluppato da Mario Morganti, Gianfranco Cautilli e Renato Morganti, declina coerentemente l'idea a partire dall'esigenza espressa dalla committenza pubblica di insediare nella cartiera il MUSEO DELLA CIVILTA' DELLA CARTA E DELLE TELECOMUNICAZIONI.
Del rudere dovevano rimanere tracce consistenti, della cascata si doveva privilegiare la vista, del verde si doveva conservare quasi tutto, dell'edificio si doveva farne un museo.
Risultato finale: una lunga passerella pedonale in acciaio sovrasta l'edificio, si insinua tra i lacerti murari opportunamente consolidati e conduce all'ingresso del museo come pure verso la cascata di cui si può godere la vista sostando all'estremità della passerella, quasi sospesi nel vuoto; un sistema di coperture di acciaio, rame e vetro che, ribassato rispetto alle creste murarie e arretrato rispetto ai muri in elevato dei timpani consente l'inserimento di ampi giardini pensili.
Questi, sinteticamente, gli elementi del progetto cui MCM ha affidato la soluzione del tema proposto. Un tema il cui svolgimento all'interno, cos' come declinato fino ad oggi, affida alla tecnica della sospensione diretta anche la soluzione dei connettivi principali orientati in obliquo come la passerella esterna, così da rafforzare l'identità di elemento architettonico aggiunto, quanto basta per segnare con decisione la rifunzionalizzazione in atto.
Al museo dunque si accede dall'alto. Poi ci si immerge progressivamente negli spazi produttivi "aggrappati alle pendici del vallone". Superata la black box che connota l'ingresso si accede al vano voltato del terzo livello sottostante la cappella in cui sono sistemati i servizi di accoglienza per il pubblico articolati in due ambienti a quote diverse cui è integrata una piccola sala per esposizioni temporanee.
Le esposizioni permanenti, invece, occupano i due livelli sottostanti, raggiungibili anche mediante l'ascensore ricavato all'interno del pilastro su cui poggia la passerella. In particolare, al secondo livello, oltre agli spazi espositivi sono organizzati gli uffici di direzione e segreteria del museo, e un'aula per seminari e conferenze.
L'acqua, motore dell'antica fabbrica, dà forza alle idee progettuali messe in campo da MCM il cui dispiegamento nel riprendere temi proposti in altre esperienze di recupero - innanzitutto nel castello Caetani di Trevi nel Lazio e nell'ex convento dei Francescani di Sora - si amplia e fa proprie suggestioni nuove, attivate dalla specificità del tema trattato.
LE COPERTURE DELLA CARTIERA LEFEBVRE - MUSEO DELLA CIVILTA' DELLA CARTA
Il tema dell'inserimento di nuove coperture acquista una valenza particolarissima a partire dall'idea di non riproporre una tipologia tradizionale, qual era quella dell'antica fabbrica, così come testimoniato dai ruderi messi in luce dopo la "bonifica del sito". Del rudere si voleva innanzitutto conservare l'immagine così come era pervenuta dopo decenni di abbandono.
Unico il modo che avrebbe consentito di non occultarla far ricorso ad una copertura piana impostata al di sotto delle creste murarie.
La volontà di distinguere ulteriormente questo nuovo elemento tecnico dall'organismo murario preesistente, di connotarlo come tecnicamente diverso ha indotto le scelte successive legate all'introduzione di asole trasparenti che si sviluppano lungo i muri alternate a parti opache rivestite di rame, ovvero la sostituzione di queste con ampie superfici vetrate che risolvono interamente l'elemento di copertura.
La prima soluzione ricorre più spesso; la seconda raggiunge la sua più compiuta espressione nella porzione di edificio direttamente interessata dalla presenza della passerella pedonale: con essa il gruppo MCM ha voluto evidenziare sia l'assenza dell'antico impalcato associata al crollo dell'ultima elevazione di cui sono stati conservati i resti, sia l'esigenza di ricercare una più diretta integrazione visiva tra l'elemento esterno aggiunto che consente l'accesso al museo e lo spazio interno più suggestivo in gran parte occupato dalle vasche olandesi.
All'idea di conferire identià ad un rapporto nuovo tra natuta ed artificio il gruppo MCM dà concretezza con un latro espediente che riguarda sempre le coperture: l'arretramento di queste rispetto ai muti in elevato dei timpani. Il risultato più immediatamente percepibile è che a lavori ultimati - fino ad oggi sono stati portati a termine soltanto il primo e il secondo lotto - la natura risiederà di nuovo all'interno dell'edificio ma, diversamente dal passato, all'uomo verrà affidato il difficle compito di controllare questa interazione affinché l'una non prevalga sull'altra ma possa stabilirsi un nuovo equilibrio che non vanifichi gli sforzi recenti.
I tetti giardino sistemati ovunque declinano compiutamente questa volontà; ad essi si accompagna la serra ovunque longitudinale posta all'interno a separare gli spazi museali disposti al secondo livello. Sia che si risolvano soltanto con pannelli vetrati, sia che a questi venga interposto un impalcato rivestito in rame le coperture si presentano in prevalenza ad impluvio.
La raccolta delle precipitazioni meoeoriche è per lo più affidata a due grone di sezione rettangolare che proseguono oltre la copertura in modo da smaltirle o sui tetti giardino o direttamente oltre il perimetro murario.
All'acciaio, estensivamente impiegato anche nek consolidamento murario, è affidato il sistema resistente principale delle coperture.
A coppie di travi armate con doppio contraffisso inclinato sono svrapposte coppie di arcarecci (2"L"270x80x8) e un impalcato in acciaio-calcestruzzo (lamiera grecata: h=55mm, s=10/10, soletta armata: s=50mm).
All'estrodosso dell'impalcato un ordito monodirezionale sagomato a volta ribassata in profilati di acciaio a sezione aperta, sostiene un sottile impalcato in pannelli di compensato marino (s=22mm), rivestito in lamiera di rame (s=0,8 mm) la cui continuità è garantita da doppio giunto aggraffato.
Tra i due uno strato termoisolante in pannelli rigidi è lambito da aria in movimento la cui espansione è facilitata dalla presenza di fori sulle testate della copertura.
Le parti trasparenti delle coperture, infine, sono affidate a serramenti metallici protetti mediante coperture in rame - le stesse impiegate per proteggere le creste murarie - tagliate a misura, sagamate, avvitate e incollate al profilo sottostante mediante adesivo plastico e a pannelli a camera vetrata isolante.
I CONNETTIVI
Centrale nel recupero dell'ez cartiera Lefebvre è la progettazione dei nuovi connettivi interni ed esterni. Intorno ad essi ruota la riorganizzazione degli spazi esistenti e la identificazione di nuovi ai primi strettamente correlati funzionalmente.
Come negli altri interventi di recupero del gruppo MCM la coerenza delle scelte finalizzate a dare identità a questi elementi aggiuntivi si traduce nello sfruttare le potenzialità funzionali del manufatto antico mettendo in luve l'adeguatezza all'inserimento di funzioni diverse.
All'interno, i progettisti propongono l'impiego diffuso - lo avevano fatto prima a Trevi e a SOra - della tecnica della sospensione diretta, l'unica che non soltanto consente di minimizzare le interferenze tra gli elementi aggiuntivi e quelli preesistenti, ma li fa apparire leggeri. Una leggerezza puntalmente ricercata mediante accorgimenti semplici, più volte impiegati anche da Giulio Canali e ispirati alle soluzioni di dettaglio di Carlo Scarpa, che prevedono lo sdoppiamento degli elementi resistenti principali - stralli e travi - e secondari - orditi e impalcati -.
Le passerelle in acciaio e legno che attraversano le aule principali del museo presentano infatti uno o più appoggi intermedi realizzati mediante coppie di stralli disposti nello spazio coerentemente ai caratteri dell'architettura antica (la geometria della volta a botte lunettata del vano più interno) o dei nuovi inserti (la trave con doppio contraffisso dell'ordito principale del lucernario che copre le vasche olandesi). Entrambe presentano una disposizione planimetrica che riprende l'orientamento in obliquo della passerella esterna.
Quest'iltima invece, presenta un sistema resistente ispirato all'impiego di principi costruttivi diversi. Messa da parte ogni velleità di leggerezza, l'acciaio viene impiegato in forma di trave reticolare appoggiata a sezione rettangolare attraversata da un percorso pedonale rettilineo che va ad arricchire l'architettura dell'ex opificio attraversandola per intero fino a raggiungere la vista della cascata.
Il primo dei duenappoggi, esterno alla sagoma planimetrica dell'antica fabbrica, è un plinto in calcestruzzo armato sistemato sul terrapieno antistante; il secondo, interno, è un pilastro reticolare in acciaio a sezione rettangolare che attraversa l'aula delle vasche olandesi e svetta oltre le nuove coperture e la sommita della passerella.
Superato l'appoggio interno, la passerella si conclude con uno sbalzo di quattordici metri proteso nel vuoto verso la cascata.
Assemblata in parte in officina e in parte in cantiere e messa in opera con l'ausilio di una speciale autogru, la trave presenta una sezione rettangolare (2,4 x 2,6) ai cui vertici sono sistemati quattro profilati a sezione aperta (HEB 220) che, a due a due, funzionano da corrente inferiore e superiore delle travi reticolari piane collegate trasversalmente mediante traversi (HEB 140) e aste diagonali (2L 60x6), queste ultime disposte in modo da formare un reticolo a campi triangolari lungo tutta la trave.
L'impalcato della passerella non occupa l'intera sezione utile della trave ma è arretrato su entrambi i lati. Poggiato sui traversi principali cui è fissato mediante appositi connettori, presenta la parte resistente in grigliato metallico a maglie rettangolari di sostegno alle lastre di travertino bocciardato, modulate sulla geometria della trave.
Lungo ben cinquataquattro metri, pesante più di cinquantotto tonnellate questo elemento nuovo, certamente suggestivo anche per il salto di scala che introduce, supera ogni ostacolo fisico che si interpone al suo sviluppo e consente di osservare il sito fortemente antropizzato da punti di vista inusuali.
Così concepito e realizzato assurge a nodo centrale del progetto di riuso, incipit programmatico tradotto in emblema del novello opificio culturale.
RENATO MORGANTI
MARCELLO ZORDAN
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ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE.
L’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE dottrina nata intorno agli anni '50 nel
mondo anglosassone, studia l'epoca della rivoluzione industriale con gli edifici, le tecnologie, le infrastrutture e le conseguenze economiche e sociali che ne derivano. Ed essendo la macchina la prima "causa, l'origine (arch', appunto), della rivoluzione
industriale, diventa archeologia industriale tutto ciò che nel nostro passato, recente o lontano, ha contribuito a portarci alla civiltà delle macchine".
Si definisce in tal modo una dottrina ed un procedimento interdisciplinare che nella valutazione e nello studio della rivoluzione industriale comprende l'apporto che ad essa è stato dato oltre che dalla scienza e dalla tecnica, dal lavoro,
dal capitale e dalle strutture socio-politiche.
Secondo stime attendibili ogni anno in Italia vengono smantellati mediamente 150 mila metri cubi di
vecchi edifici industriali e vengono "rottamate" circa 300 mila tonnellate di macchinari ed attrezzature, mentre gli archivi ed i disegni vengono generalmente distrutti entro i cinque anni previsti dalla legge, quasi sempre senza effettuare neppure una cernita
delle cose più interessanti.
Naturalmente è inevitabile che la maggior parte di questi edifici e carte e macchinari obsoleti venga
distrutta, considerando che è la Fisiologia" stessa dello sviluppo industriale a renderlo necessario. C'è però una percentuale di tutto questo che va considerata come "bene culturale", secondo la concezione introdotta in anni recenti anche
da noi, e appunto come tale studiata, conservata e valorizzata. Va sottolineato che il concetto dì bene culturale attribuito anche a quelli industriali è di grande rilevanza per un Paese come il nostro dove la "querelle" tra scienze umanistiche
e scienze tecniche e l'antinomia tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica è stata faticosamente superata solo di recente.
Tuttavia
si comincia a comprendere che la cultura industriale è la cultura del mondo di oggi e che la fabbrica è un contenitore di scienza, di tecnologia, di capacità imprenditoriale, di fatica, di dolore di umanità che in un immenso sforzo
vitale macina e trasforma la vita e la società dell’uomo. Sono sorte quindi associazioni che si occupano della conservazione e della valorizzazione dei manufatti industriali dismessi, e la più famosa è senz’altro la T.I.C.C.I.H.
acronimo di Comitato Internazionale per la conservazione dell’Eredità industriale fondata nel 1978 che raccoglie rappresentanti di ben 30 paesi.
Le
presenze di archeologia industriale nel territorio sono rilevanti in quanto rappresentano insostituibili testimonianze materiali del modo di produrre e di lavorare di una determinata epoca. Esse possono restituirci con grande evidenza le forme di organizzazione
tecnologica e le corrispondenti forme di vita lavorativa e sociale che gravitavano attorno ai centri di produzione.
E' importante recuperare
e valorizzare ciò che resta: non solo edifici, ma anche macchine, strumenti, immagini, stile di vita di questi periodi, creando od arricchendo il trascurato filone dei musei demoantropologici e scientifici. Così come è avvenuto, ad esempio,
per gli oggetti salvati nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, per quelli esposti nel Museo ENEL dell'Energia elettrica di Roma, o per quelli del Museo delle Poste di Roma, e per altri e altri ancora. Sono oggetti che rendono affascinante la visita
a questi Musei. Di fatto lo sviluppo di insediamenti industriali ha improntato di sè quartieri, zone centrali o periferiche della città. Il quartiere Ostiense a Roma ne è una testimonianza lampante. Anche oggi è possibile distinguere
chiaramente varie aree industriali, a cui fa da contraltare la zona residenziale della Garbatella. Alcune di queste aree, come la Centrale Montemartini, sono state recuperate. Altre, come il Mattatoio, aspettano.
Ricordiamo che altre città, come Parigi, che pure non può essere citata come il massimo esempio in fatto di recuperi storici, hanno saputo operare alcuni brillanti interventi divenuti ormai
famosi. In particolare, a Parigi si sono convertite aree centrali dismesse come la Gare d'Orsay, o aree periferiche come l'ex mattatoio La Villette, in formidabili investimenti culturali, un museo d'arte contemporanea e un museo della scienza, dando così
un forte impulso al prestigio, al turismo ed all’economia.
Le aree industriali, in particolare quelle dismesse, rivestono una notevole
importanza urbanistica per una città. Per menzionare solo alcune grandi città, a Milano risultano aree dismesse per 9,5 milioni di mq, a Torino 2,7 milioni, a Genova 3,9 milioni, 1 milione a Venezia, 6,2 milioni a Roma (sufficienti ad ospitare
metà della Roma che vive entro le Mura Aureliane). Sono praticamente un serbatoio urbanistico in attesa di destinazione. Che può consentire di colmare lacune o migliorare le esistenti strutture cittadine.
E' importante che in queste decisioni possano confluire le migliori riflessioni sulle necessità presenti e future e sul migliore destino delle città. Si deve evitare
che a decidere sia la fretta, l’incuria o l'affarismo, magari favorito da occasioni estemporanee quali: Mondiali, Olimpiadi il Giubileo. Catalogare il patrimonio esistente non basta, ma è una prima misura di protezione. Il problema di recupero
non è di facile soluzione. Ma neanche la prospettiva di perdere queste aree è confortante. Ad esempio, in Lombardia, sulla base di un censimento regionale di circa 550 complessi, si è potuto accertare che il 50% era ancora utilizzato con
le originarie finalità produttive, mentre il 30% era stato ristrutturato a nuovi scopi e il 20% era rimasto abbandonato o in via di demolizione. Questo esempio fornisce una prima stima delle quote che si sono perse in passato o che rischiano di andare
perse oggi in assenza di interventi. Si tratta infatti di beni non tutelati dalla normativa in vigore, per lo più di proprietà privata, spesso minacciati da interessi economici e speculativi, con rischio di una rapida sparizione.
In questa ottica di salvaguardia si è mossa dal 1995 l’Amministrazione Comunale di Isola del Liri che grazie al sapiente utilizzo dei fondi comunitari dell’Obiettivo
2 ha intrapreso un gigantesco sforzo di riconversione di tutte le strutture industriali dismesse che insistevano sul territorio, ponendosi come fine ultimo la trasformazione di Isola del Liri da centro industriale a polo turistico-tecnologico.
In questa ottica confluisce, poi, tutto il grande progetto del Parco Fluviale Tecnologico che costituirà con le sue moderne realizzazioni la sfida isolana al nuovo
millennio. A tale proposito è opportuno ricordare come nasce e come si evolve questa progettualità legata al parco dando anche un piccolo sguardo al background storico-economico di Isola del Liri.
Dal '600 fino ad oggi, la connotazione industriale ha rappresentato l'elemento fondamentale e ordinatore della "Forma urbis" di Isola del Liri, quale modello di sviluppo insediativo tipico delle regioni
industrializzate d'Europa. Inizialmente, per la lungimiranza dei Boncompagni; nell'800, per l'imprenditoria dei francesi Beranger, Lefebvre, Courrier, Coste, Boimond, Roessinger e dei Borboni, che favorirono la trasformazione dell'antica "Insula filiorum Petri"
nella moderna "Manchester del Regno di Napoli".
Ben presto nacque la nuova tipologia edilizia della fabbrica-villa, da cui l'appellativo di città-fabbrica:
il disegno ottocentesco di Isola del Liri, si può oggi rileggere nelle residenze padronali ed operaie, ancora presenti come segni forti del territorio e nella architettura dell'enorme patrimonio di archeologia industriale, il cui riuso è alla
base dei lavori di ristrutturazione in corso, finanziati con i fondi strutturali dell' Unione Europea, per la riconversione globale dell'antica città-fabbrica in Città-Parco Fluviale e Tecnologico, con la significativa denominazione di Centro
Europeo della Civiltà della Carta e delle Telecomunicazioni.
Per diversi secoli, la vita cittadina è stata scandita dalla organizzazione
del lavoro in fabbrica; intere generazioni di Isolani, infatti, hanno adattato il loro ritmo biologico a quello delle produzioni cartarie e tessili che davano prosperità e ricchezza al paese, tanto che l'Isolano e l'operaio, nel corso di questo lungo
arco temporale, si sono identificati in una sola categoria sociologica.
Il processo di marginalizzazione, conseguente ai nuovi disorganici assetti
territoriali, e la deindustrializzazione hanno determinato profonde lacerazioni nel tessuto sociale ed economico della città e la urgente necessità di ricercare, alle soglie del terzo millennio, un nuovo e moderno ruolo ad una città piena
di storia e di laboriose tradizioni.
Isola dei Liri, già nota per la forma peculiare del suo nucleo abitato più antico, che assume le
sembianze di vera e propria isola lambita da due bracci del fiume Liri che formano le uniche Cascate al mondo all'interno di un centro storico, vuole rappresentare una realtà del tutto nuova, dove le spoglie del passato possano rivivere nel presente
attraverso una rilevante operazione di riqualificazione urbana (caso unico in Italia), per la trasformazione della città in un qualificato centro di servizi culturali, commerciali, turistici e telematici, come funzioni differenziate nel contesto di
un "progetto globale" che incentivino la PMI, in cammino verso l'Europa.
L'Unione Europea e la Regione Lazio, il CIPE e il Ministero del Lavori Pubblici,
cofinanziatori con il Comune di Isola del Liri dell'unico progetto di riconversione di una città in corso di realizzazione in Italia, hanno finora approvato tutti i progetti relativi alla ristrutturazione ed al riuso dei più importanti siti industriali:
Cartiera Emilio Boimond, Feltrificio Pisani e Cartiera Fibreno-Lefebvre . Nel contempo, sono in corso ad opera dei privati le ristrutturazioni del Lanificio S.Francesco (oggi Auditoriuni New Orleans), delle Cartiere Meridionali e del Lanificio Pelagalli, a
riprova della credibilità che ha assunto il "progetto globale" di riconversione.
Nasce, così, dalle ceneri delle industrie la nuova Isola!
Cultura, turismo, spettacolo, alta tecnologia, informatica, telematica, telecomunicazioni, acquario, PMI, tradizioni antiche che si coniugano con un rilevante processo
di modernizzazione all'interno di un grande PARCO FLUVIALE E TECNOLOGICO, che si snoda lungo tre itinerari dal Centro storico fino ai confini con Sora, collegando tutti gli interventi in corso in modo coerente e globale.
In questa ottica si inserì la volontà dell' Amministrazione comunale di Isola del Liri, guidata dal senatore Bruno Magliocchetti dal 1993 al 1999, di aderire al CENTRO INTERNAZIONALE CITTA'
d’ACQUA, associazione senza fini di lucro costituitasi a Venezia nel 1989 per svolgere attività di documentazione, informazione, studio e ricerca sui problemi e sulle esperienze di quegli insediamenti urbani fortemente caratterizzati dal rapporto
con l’acqua.
Obiettivo principale è quello di favorire e migliorare gli scambi scientifici e culturali tra le diverse città
d’acqua, in ogni parte del mondo creando a Venezia, simbolo universale di questa città, un punto di riferimento per tutti coloro che operano per ripristinare una positiva relazione tra città d’acqua e ambiente urbano. Pur nella diversità
delle situazioni rappresentate dalle singole città è possibile ritenere che lo scambio di informazioni ed esperienze condotte nelle differenti realtà urbane può essere di grande utilità nell’affrontare e risolvere i
problemi che caratterizzano questi insediamenti.
Il Centro Internazionale Città d’Acqua ha come promotori:
Il Comune di Venezia
L’Università degli Studi di Venezia (Cà Foscari)
L’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV)
Il Consorzio
Venezia Nuova
Inoltre esso ha una propria rivista bimestrale di informazione e studi "Aquapolis" redatta in italiano ed inglese.
La coincidenza fra i fini del Centro e la programmazione attuata grazie ai fondi comunitari e statali dal Comune di Isola del Liri appare straordinariamente coincidente.
'Il tema del recupero e del riuso dell'archeologia industriale deve diventare sempre più un fattore essenziale e strategico nella definizione delle politiche urbane
di riqualificazione e sviluppo delle zone industriali e portuali, obsolete o abbandonate." Con questa affermazione è stato aperto il documento approvato dai partecipanti a conclusione dei V Incontro Internazionale del Centro Città d'Acqua, 'L’Acqua
dell'Archeologia Industriale", tenutosi a Venezia il 27 - 28 marzo 1998.
Gli interventi, si ribadisce nel documento, consentiranno la riappropriazione
da parte della città di zone in passato emarginate e inaccessibili; il reintegro, nell'assetto della struttura urbana, di edifici o sistemi di attrezzature di grande valore storico-architettonico; l'incremento dei livelli occupazionali e l'arricchimento
del tessuto socio economico di importanti parti di città.
In questo quadro, si sottolinea inoltre, il valore e le potenzialità
di riutilizzo di tali spazi e strutture viene incrementato dalla presenza dell'acqua, le diverse forme che essa assume. Gli interventi di riuso dovranno tenere presente la necessità di reinterpretare e definire un nuovo e organico rapporto tra la città
e le aree recuperate, il rispetto per gli episodi di architettura industriale che deve tradursi in calibrate operazioni di recupero, specialmente per ciò che riguarda l'equilibrio di linguaggi (di vecchio e nuovo), dovranno inoltre dedicare attenzione
alla scelta delle funzioni ad esse destinate consentendo una pluralità di usi che comprendano il mantenimento di attività produttive e la stessa funzione residenziale; sviluppare tutte le forme della collaborazione tra il settore pubblico e quello
privato, demandando a quest'ultimo i compiti legati alla gestione delle strutture rinnovate.
L’acqua diventa quindi alla luce di questa nuova
visione il perno ideale e concreto della proposta di rivitalizzazione di spazi ed edifici abbandonati, certo è un acqua che ha perso gran parte delle sue doti naturali poiché essa è stata piegata in maniera spesso violenta ai bisogni dei
processi produttivi e così spesso la ritroviamo trasformata, apparendo artificiale e degradata, quasi fosse stato spento o comunque compromesso quel carattere di "liquida vitalità" percepibile allo stato di natura. Recuperare questa Archeologia
Industriale vuole dire innanzitutto recuperare il valore della presenza dell’acqua, per se stessa ed in rapporto al contesto edificato, per assegnarle un ruolo di essenziale ingrediente di una proposta di riqualificazione, convincente e duratura, di
importanti testimonianze del patrimonio di Archeologia Industriale.
Il Centro Internazionale Città d’acqua in collaborazione con Eurocultures,
osservatorio europeo per lo sviluppo socio-culturale della città, e i paesi dell'Unione Europea coinvolti nel programma 'Itinerari Culturali' del Consiglio d'Europa, ha promosso la creazione della RETE EUROPEA PER L'ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE.
Questo progetto per il quale è stato chiesto un finanziamento alla Comunità Europea, consiste nella realizzazione di una rete tra soggetti coinvolti nel
recupero e la gestione di manufatti che rappresentano per le città un significativo elemento di rivitalizzazione economico culturale.
I
partner sono: Assessorato all'Urbanistica, Comune di Venezia (Italia); Ispettorato nazionale per il Patrimonio, Tallin (Estonia); Agence d'Urbanisme, Dunkerque (Francia); Dipartimento per la Cultura e la Ricerca, Lubiana (Slovenia); Ispettorato Municipale
per la Salvaguardia del Patrimonio architettonico e culturale, S.Pietroburgo (Russia); Università Chalmers, Góteborg (Svezia); Istituto Tecnico Superiore, Lisbona (Portogallo); Istituto di Architettura "Ion Míncu", Bucarest (Romania);
Associazione degli Architetti, Regione Centro-Coimbra (Portogallo); "Wohnen und Stadtentwicklung", Vìenna (Austria); Accademia di Belle Arti, Berlino (Germania); Museo della Scienza e della Tecnica della Catalogna, Barcellona (Spagna); Associazione
"Cité et Solidarité" Eurocultures, Bruxelles (Belgio); Solidarnosc/Relazioni internazionali, Gdansk (Polonia); Associazione "Pro Friburgo", Friburgo in Argovia (Svizzera).
Le opportunità quindi che potranno scaturire da questa adesione sono molteplici e foriere di sviluppi futuri, nell’immediato il Centro potrà fornire alla nostra città consulenze organizzative
e progettuali e soprattutto fornire il suo enorme know-how. La possibilità di organizzare convegni sponsorizzati dal centro costituirà poi per lo sviluppo della vocazione turistica di Isola del Liri un potente veicolo pubblicitario.
"Agire nella realtà locale, pensando in modo globale" vuole essere la filosofia dell'lsola del 2000, nella consapevolezza che nell'epoca delle nuove tecnologie
di comunicazione si coniugano due dimensioni fino a poco tempo fa alternative, quella globale e quella locale, lsola del Liri, insomma, sviluppa concretamente un dato originale del nostro tempo, un dato espresso dal neologismo "glocal", ossia globalizzazione
e localismo.
La Prima Conferenza Urbanistica del Lazio Meridionale, la continua ricerca della identità e della memoria storica locale, la riconversione
in corso da antica Città-Fabbrica in Città-Parco Fluviale e Tecnologico, la notevole attività culturale, i rapporti internazionali con New Orleans, con Hong Hong, con Toronto, l'adesione al Centro Internazionale Città d'acqua, unitamente
alla realizzazione di un Centro Servizi per le Telecomunicazioni vogliono determinare in realtà un rapporto corretto tra globalizzazione e localismo.
In
conclusione, scrive Ernesto Assante, nel "villaggio globale", "la "madre di tutte le reti" (internet) non ha frontiere, non conosce confini, i suoi dati viaggiano tra un paese e l'altro senza attraversare dogane, senza che nessuno riesca, o possa, impedirne
il movimento. La rete non ha un luogo, è il mondo stesso, con tutte le sue diverse culture, le sue diverse lingue, con le identità di ognuno e le diversità di tutti.
Nessuno è uguale all'altro, per tutti esiste uno spazio, una piccola pagina del Web che può contenere storie, culture, progetti" come antidoto, aggiungo io, al pensiero unico che avanza e minaccia di diventare
il totalitarismo del 2000.
E' motivo di orgoglio per tutti gli lsolani partecipare a questo grande progetto ed è motivo di immensa soddisfazione
per tutta l'Amministrazione comunale interpretare con fede e con realismo le attese e le speranze della Città delle Cascate, che in così poco tempo ha saputo assumere un ruolo importante degno della sua storia e della sua tradizione.
IL 24 NOVEMBRE 2016 GLI STUDENTI DELL'ISTITUTO ANGELONI DI FROSINONE E RAI3 HANNO VISITATO L'ANTICA CARTIERA LEFEBVRE E HANNO COSTATATO IL GRAVE DEGRADO IN CUI VERSA IL GIOIELLO DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE, ACQUISTATO VENTI ANNI FA DAL COMUNE, BONIFICATO E RISTRUTTURATO PER REALIZZARE IL PIU' GRANDE MUSEO DELLA CARTA D'ITALIA CON UN INVESTIMENTO DI OTTO MILIARDI DI LIRE A VALERE SUI FONDI STRUTTURALI EUROPEI.
PURTROPPO, DA CIRCA SEDICI ANNI E' STATO ABBANDONATO ALL'INCURIA E ALL'AZIONE DEI VANDALI DALLE AMMINISTRAZIONI DI SINISTRA CHE HANNO IRRESPONSABILMENTE RINUNCIATO A CHIEDERE GLI ULTERIORI FINANZIAMENTI PER COMPLETARE I LAVORI.
OGGI E' UNA DELLE VERGOGNE CHE DETURPANO IL TERRITORIO ITALIANO.
LE DEPLOREVOLI CONDIZIONI IN CUI VERSA L'ANTICA CARTIERA LEFEBVRE - MUSEO DELLA CIVILTA' DELLA CARTA DOPO SEDICI ANNI DI COLPEVOLE ABBANDONO ALL'INCURIA E ALL'AZIONE DEVASTANTE DEI VANDALI.
SONO STATE RUBATE ADDIRITTURA LE PREZIOSE COPERTURE IN RAME.
Ultimi commenti
11.09 | 09:59
Sembrano disinteressati ma se sollecitati e soprattutto responsabilizzati danno il meglio di loro
11.09 | 09:58
Caro senatore, oggi individuare ‘giovani di centrodestra’ è difficile! I ragazzi sono figli del loro tempo (questo) e non piace loro essere classificati o incasellati! Secondo me vanno solo stimolati
11.09 | 09:12
Caro Maurizio, senza la partecipazione dei giovani, specie quelli di centrodestra, la mia proposta rischia di diventare un "discorso ai sordi".
10.09 | 08:37
Finalità condivisibili! Occorre l’impegno di molti e sicuramente vanno coinvolti i giovani intorno a progetto di più ampio respiro e ambizioso!